La mappa non è il territorio
Perché vediamo il mondo con occhi diversi e come questo può essere utile
Tutti sappiamo che diverse persone hanno diverse visioni del mondo, ma abbiamo nello stesso tempo la convinzione intrinseca che la nostra visione sia quella più condivisa; e quindi, in ultima analisi, quella giusta.
Questa convinzione non nasce da una sorta di arroganza che ci fa pensare migliori degli altri, ma semplicemente dalla tendenza che abbiamo tutti a voler comunicare la nostra visione del mondo, piuttosto che nel cercare di capire quella degli altri.
Quindi tranquill*, è normale fraintendersi e dare per scontata la propria visione
Ma Perché ciò accade? E come possiamo rendere a nostro favore queste differenze?
Sistemi rappresentazionali
In Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) vengono definite in questo modo le elaborazioni dei segnali esterni che vengono filtrate dai nostri sensi.
In pratica, ci formiamo una mappa di com’è fatto il mondo (il territorio) attraverso i nostri 5 sensi e le nostre sensazioni interne, costruendo in questo modo una rappresentazione che dev’essere quanto più possibile efficace. Non è quindi importante che ricordiamo ogni dettaglio di ciò che viviamo (il che manderebbe in sovraccarico il nostro cervello), ma solo ciò che riteniamo utile in quel momento.
Lo scopo di questa mappa infatti è aiutarci a capire il mondo in cui viviamo, perciò dev’essere velocemente consultabile per aiutarci nelle situazioni nuove: se fosse accurata conterrebbe troppi dettagli, e non sarebbe più efficace
Quindi non solo tralasciamo molti dettagli, ma ognuno di noi ha anche un sistema che viene preferito rispetto agli altri, e di conseguenza nota maggiormente determinati dettagli (e li riporta nella sua mappa).
I 3 sistemi rappresentazionali convenzionalmente identificati sono:
Visivo
Uditivo
Cinestesico (che raggruppa gusto, tatto, olfatto e sensazioni interne)
Quindi questi 3 sistemi filtrano i dati in base al fatto che la mappa dev’essere efficace, e non accurata: ma cosa vuol dire “efficace”?
Evoluzione lenta
Spesso ci chiediamo se un determinato processo è efficace o meno; più raramente facciamo un passo indietro chiedendoci “cosa vuol dire efficace? L’abbiamo definito in modo condiviso?”.
Infatti un database, per essere efficace, deve contenere quanti più dati possibili, poiché generalmente il suo scopo è quello di essere accurato, completo, esaustivo. Ma l’algoritmo che ricerca in esso la voce che volete dev’essere veloce, per venir giudicato efficace: così non può vagliare ogni dettaglio di ogni voce, ma deve valutarle in modo differente, più “superficiale”, diciamo così.
Ecco, per milioni di anni “efficace” per noi ha voluto dire “che mi fa sopravvivere”, quindi il nostro corpo e il nostro cervello hanno sviluppato adattamenti per fare la cosa più logica: risparmiare energia.
Ingrassiamo facilmente, tendiamo al riposo e a fare ragionamenti veloci e superficiali: questi sono i nostri programmi di base, che si sono evoluti in un ambiente ostile e con scarse risorse; e l’evoluzione biologica è molto più lenta di quella culturale.
Quando parliamo d’interpretare la realtà quindi, “efficace” significa “che mi permette di capire velocemente situazioni sconosciute, e potenzialmente pericolose”
Per questo motivo la nostra mappa della realtà è per definizione inaccurata, e, dal momento che ognuno si forma i propri “filtri” in base al proprio vissuto, è perfettamente normale che diamo importanza diversa a diversi dettagli.
Se abbiamo un accordo comune su quali elementi sono rilevanti e sul linguaggio da utilizzare (per esempio tra ingegneri o matematici), tanto più i fraintendimenti sono rari; ma se aumentano le possibilità d’interpretazione, come nelle relazioni umane, bè allora sono molte di più le volte che non ci si capisce.
“Che me ne faccio ora che lo so?”
Bella la cultura generale, ok, ma c’è qualcosa di utile che puoi fare con queste nozioni?
Sì, almeno tre direi.
1. Capire che non ci stiamo capendo
Quando ti sembrerà di “parlare un’altra lingua” mentre dialoghi con un’altra persona, ora sai che effettivamente è così.
Ciò che potrai fare quindi è fermare la discussione, fare un passo indietro e dire “ok, forse non ci stiamo capendo: tu cosa intendi per <oggetto della discussione>?”
Dando una definizione condivisa a ciò che sta creando il fraintendimento, scoprirai che il nodo è spesso lì, nel dare definizioni diverse a qualcosa dando per scontato che siano condivise.
2. Nei tuoi panni
Quando comunichi con qualcuno, prova a prestare particolare attenzione non a esprimere il tuo punto di vista, ma a capire esattamente cosa l’altra persona vuole comunicarti.
Non intendo semplicemente ascoltare le parole (a cui, ripeto, potreste dare significati diversi), bensì cercare di capire il messaggio che l’altra persona ti vuole passare, facendo anche domande di chiarimento per evitare fraintendimenti, e riformulando per verificare che avete capito ciò che voleva essere trasmesso.
Disclaimer: è un’esercizio di profonda umiltà e pazienza, preparati se decidi di sperimentarlo.
3. Nuovi approcci
Nel momento in cui capisci come l’altra persona pensa, prova a fare domande per capire perché la pensa così, come questo approccio (questo mindset) si è formato nella sua mente.
A quel punto avrai un nuovo modo di vedere le cose a tua disposizione, che non solo ti aiuta a capire quella persona, ma nelle condizioni giuste potrebbe essere un mindset migliore del tuo, per affrontare particolari problemi.
Penso che tu abbia già capito cosa intendo, non serve un esempio, vero?
Spero che questa lettura ti sia stata utile, rispondimi per qualsiasi commento o domanda, sarò felice di ascoltare il tuo punto di vista!
A presto
Davide